La storia non insegna niente…

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Galeone Spagnolo -zoomDi Guido Di Stefano

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    Purtroppo questi sono stati e sono i gravami culturali nostrani: siciliani “in primis”, italiani “in aeterno”.

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    Siamo noi stessi a precluderci ogni possibilità di riscatto e di libertà, noi che abusiamo dell’istituto della delega, tanto attiva quanto passiva.

   Troppi politici, cittadini rappresentativi ma riconducibili alla politica, addetti alle informazioni, quasi godessero di deleghe rappresentative popolari di tipo dogmatico ed universale, si esprimono categoricamente e “mettendo la mano sul fuoco” per rendere inattaccabili i loro assunti; non solo ma anche “ad libitum” (a discrezione (propria), a volontà (altrui), a  piacere)  si chiudono ad ogni altra diversa prospettiva visiva con i paraocchi di asinina memoria..

   Passiamo a qualche esempio.

   Correvano gli anni novanta quando noi comuni mortali siamo stati resi partecipi del (presunto) genocidio perpetrato dai Serbi in danno dei Croati. Evidentemente qualcuno abbisognava di  una guerricciola nei Balcani ed a tempo debito l’ha avuta in omaggio. Oggi apprendiamo che la Corte penale internazionale ha respinto tutte le accuse della Croazia per i fatti del 1991-1995. Dando per certe le doti di serenità e obiettività della Corte dobbiamo concludere che la verità si fa strada (quasi) nel silenzio, mentre le “inesattezze” hanno fatto tanto rumore. Dove sono le mani “da bruciare” ed i paraocchi di allora?

     Soffermiamoci ora su qualcosa che non manca mai di attualità: la malavita organizzata, che da noi risponde al nome di mafia e ad altre denominazioni nel resto del meridione.

    Ricordiamo sommariamente, ma con somma tristezza, che fino agli inizi degli anni ottanta si “concionava” del problema circoscrivendolo a Palermo in particolare e alla Sicilia occidentale in generale. Era “blasfemia”  mettere in dubbio l’integrità e l’immunità dal fenomeno di Catania e della Sicilia orientale. Tromboni, trombe, violini (di tutte le estrazioni) ci travolgevano con i loro proclami: “noi no, siamo diversi”.

     La tragedia dei fatti, il coraggio di investigatori e giudici resero “innegabile” quello  che le “voci del coro” negavano con pervicacia: la situazione di Catania non era poi tanto più serena di quella  di Palermo.

    Qualcuno dice che la storia è sì maestra di vita ma non è decisamente un’ottima maestra:   praticamente non riesce ad insegnarci  molto e soprattutto non riesce ad insegnarci  a non  commettere gli stessi errori sotto diverse (o mentite) spoglie.

    Cambiano gli orchestrali, i coristi, le sceneggiature, gli ambienti ed i teatri  ma il “refrain” propone ed impone la solita visione parzializzata: “la mafia è a sud di Roma; da Roma a salire si commettono solo crimini isolati (casualmente con grande partecipazione di protagonisti)”.  Troviamo ridicolo che anche mille euro di corruzione al sud siano sintomo di malaburocrazia e mafia, mentre un milione di euro al nord siano un semplice reato (quasi da compatire).

    A questo punto temiamo che per la Sicilia, per l’Italia, per l’Europa non ci siano tante speranze. Non si vuole capire che non sono solo questioni geografiche o questioni di armi. Il modo di pensare, il modo di essere costituiscono sono la forza di ogni organizzazione criminale, qualunque sia il suo nome.

     Osiamo dire per esempio che il metodo “Boffo” è mafia; l’affermazione (cara a tanti  privilegiati dal sistema) “la legge me lo consente, quindi lo faccio” suona come un’arrogante sfida e schiaccia come un macigno:  è peggio di un’arma a disposizione dei “fortunati” che si accaparrano 5-10-20 incarichi e le relative prebende (sotto qualsiasi voce vengono riscosse). Chiediamo: è giustizia che  un qualsiasi prestatore di lavoro subordinato riscuote se assicura il suo impegno per 36 ore settimanali (esclusi ovviamente i tempi di viaggio, ristoro e riposo) mentre a questi superuomini (supertitolati?) basta dedicare mediamente  qualche ora settimanale (ferme restando le ore dedicabili al lavoro effettivo esclusi i tempi di spostamento, di ristoro e di riposo) ad ogni incarico (lavoro) percependone l’intero guiderdone previsto (comunque venga definito)? Se non è giustizia, cos’è? Bravura o furbizia? Equità o iniquità? Moralità o immoralità? Solidarietà o corporativismo? Scegliete voi tra queste ed altre definizioni!

    Forse  i signori che si appellano al “permesso della legge”  scoprirebbero una bella descrizione di usanze “strane”  nell’immacolato nord, se leggessero con attenzione la grande opera “di quel tal Sandro, autor di un romanzetto ove si  tratta di promessi sposi (G.Giusti) “: don Rodrigo ed i suoi bravi (ed i loro simili) si limitavano a fare tutto quello che le leggi gli permettevano o non riuscivano a impedire, anche per complicità passive (l’Azzeccagarbugli per esempio).  Cosa ha voluto ricordarci il Manzoni?

      Ma infine signori del centro- nord  cercate di essere coerenti: se noi popoli del sud siamo la vostra palla al piede, la vostra rovina, la fucina di tutte le organizzazioni criminali  e se noi Siciliani siamo (quasi) tutti geneticamente mafiosi (almeno così si possono interpretare le esternazioni di un vostro indigeno fedelissimo che opera  a Palermo) perché non ci lasciate liberi di costruirci il nostro destino, separati da voi?

     Vai a vedere che la colonia Sicilia è ancora un lento e gigantesco “galeone” con le stive piene di vari tesori   noti e da scoprire (trivellare?)! Quanto tempo è necessario per vuotare le stive? Un’eternità!

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